La disciplina degli atti processuali è in modo immediato produttivo di effetti tipici e nel caso in cui si presenti un’ipotesi invalidante questa si chiude in tempi brevi, differenziandosi così dalla disciplina prevista per il negozio giuridico in cui gli atti nulli non producono effetti.
Si osserva come la disciplina della nullità degli atti processuali si avvicina a quella propria dell’annullabilità in cui, anche, se un’ atto presenta una patologia questi ad ogni modo produce effetti, anche se, come osserva Verde :«l’invalidità degli atti processuali ha dei caratteri del tutto specifici e peculiari».
Il lavoro di tesi, che porterò avanti, si concentra nella prima parte sull’esame delle norme generali degli atti processuali, con un riferimento specifico alla forma nonché ai principi che regolano i fenomeni di invalidità quale il principio di legalità, quello di strumentalità delle forme nonché il c.d. principio di equipollenza degli atti processuali.
GLI ATTI PROCESSUALI
Nel codice di procedura civile non ritroviamo una definizione di atto processuale, pertanto, è opportuno fare riferimento agli orientamenti dottrinari.
L’esatta determinazione del concetto di atto processuale è di notevole importanza dal momento che permette di stabilire in modo preciso l’ambito di applicazione della disciplina che ritroviamo nel Titolo VI, Libro I, del codice di procedura civile.
Sostanzialmente due sono gli orientamenti riguardanti la definizione di atto processuale. Il primo orientamento ritiene che sia atto processuale quello che determina effetti nel (o sul) processo riconducibili al pensiero di Carnelutti.
A tale impostazione è stata mossa la critica che in questo modo si finisce per ampliare in modo eccessivo la tipologia, diventando del tutto inutile la ricerca di una definizione.
Altro orientamento (Oriani) riconosce processualità all’atto, non solo attraverso l’idoneità dello stesso a produrre effetti nel processo, ma, anche sottolineando l’importanza della sede in cui è stato posto in essere.