La prima organizzazione islamica sorta in Italia è l’Associazione Musulmana del Littorio (A.M.L) fondata a Roma nel 1937 come conseguenza dell’Impero fascista nell’Africa Orientale Italiana. Ne furono fondatori un gruppo di cittadini italiani di origine somala, per lo più arruolati in qualità di ascari (truppa) o buluk- bash (sottufficiali). Lo scopo dell’associazione doveva essere quello di garantire i servizi religiosi essenziali a quei musulmani che giungevano in Italia dalle colonie. L’Islam in Italia è stato una realtà modesta fino alla fine degli anni 60. È in questo decennio che comincia a rendersi evidente e attiva una cospicua presenza di studenti: soprattutto siriani, giordani e palestinesi che si affiancavano ai pochi uomini d’affari e al personale diplomatico dei paesi arabi presenti nella capitale. Il primo Presidente fu il principe Ali Amini, ex primo ministro dello Scià di Persia, ultimo aristocratico a ricoprire quel ruolo, che in quel periodo era esule in Italia. Accanto a lui ci fu il principe Hassan, nipote dell’ultimo re della precedente dinastia afghana Amanullah, accolto in Italia da Mussolini nel 1928 dopo essere stato spodestato a seguito delle proteste popolari contro le sue riforme liberali che iniziarono nell’area del passo Khyber e degenerarono nel saccheggio degli uffici governativi e del palazzo reale. Grazie al governo Rumor nasce a Roma nel 1969 il Centro Islamico Culturale d’Italia che è stato, nel 1974, il primo gruppo associato islamico ad avere riconoscimento come ente morale e che nel 1991 ha chiesto ufficialmente allo Stato italiano di porre in essere un’intesa. La Costituzione Italiana riconosce il diritto di libertà religiosa a tutti e vieta ogni discriminazione basata sulla religione a patto che la pratica religiosa non costituisca minaccia all’ordine pubblico o al buon costume. Ciò non significa che tutte le confessioni siano regolate dalla stessa legge, infatti i gruppi religiosi che non hanno alcuna intesa (tra cui l’Islam) vengono disciplinati dalla legge del 1929 sulle religioni di minoranza. Proprio per la mancanza di questi accordi i musulmani non possono destinare una quota dell’IRPEF alla propria comunità né dedurre le donazioni alla comunità Musulmana dagli imponibili tassabili.
Su progetto dell’architetto Paolo Portoghesi, che si affiancò a Vittorio Gigliotti, Sami Mousawi e Nino Tozzo, viene bandita nel 1977 una gara d’appalto per la costruzione di una moschea a Roma, ma solo nel 1984, alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, venne posata la prima pietra. L’inaugurazione della struttura avverrà a distanza di oltre 10 anni il 21 giugno 1995: giorno del solstizio d’estate. I paesi che nel 1977 accettarono di finanziare la Moschea di Roma sono: Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, Guinea, Indonesia, Malesia, Marocco, Oman, Pakistan, Senegal e Turchia con un bilancio iniziale di 15 miliardi di lire. Vista la necessità in piena crisi petrolifera, le conseguenze della guerra fra Egitto, Siria e Israele del 1973 si facevano ancora sentire soprattutto nel campo energetico, lo Stato italiano comprese il valore extra religioso della struttura la cui costruzione avrebbe poi instaurato proficui rapporti con l’Arabia Saudita. Dopo la guerra del Golfo però, attanagliata dai problemi finanziari che ne seguirono, il governo di Riyad, che fino a quel momento aveva pagato le cifre più importanti per la costruzione, si trovò costretto a fermare il flusso di denaro. Fu proprio in quel momento che per non far fallire il progetto Re Hassan del Marocco da una parte aggiunse circa 30 miliardi di lire, ma dall’altra pretese l’uscita delle ditte italiane dall’appalto. La costruzione della Moschea fu avallata con la neutralità di quasi tutti gli esponenti politici e religiosi, quasi un’anticipazione dell’avvicinamento fra le religioni che si sarebbe poi in gran parte realizzato durante il pontificato di Papa Francesco. I lavori di costruzione ebbero le seguenti condizioni: La cupola doveva essere più bassa di quella di San Pietro e per non disturbare l’adiacente quartiere residenziale, il minareto doveva essere privo degli altoparlanti che generalmente vengono usati nel richiamo alla preghiera. Infatti quella di Roma è l’unica Moschea al mondo ad esserne ancora oggi sprovvista. L’area su cui è stata edificata è molto prestigiosa, infatti la struttura religiosa è adiacente ai Parioli, la zona residenziale più rinomata della capitale. Nell’incontro che ho avuto con Omar Mario Camilletti, italiano convertito all’Islam, studioso e consigliere della Lega Musulmana Mondiale e portavoce della Grande Moschea di Roma, mi sono stati ampliamente illustrati sia la storia che i simbolismi del luogo, mentre il dialogo che ho avuto con l’Imam Naker Akkad e le risposte alle mie domande sono state in qualche modo illuminanti.
Ho visto che i fedeli sono di diverse etnie, ma il raggiungimento della Moschea non è facilitato da mezzi pubblici: come ovviare al problema?
Il centro è frequentato da fedeli provenienti da diversi paesi musulmani e soprattutto con la pandemia è difficile capire le provenienze d’origine, anche e soprattutto perché vista la bassa affluenza gli orari di preghiera sono diminuiti. Il problema maggiore è costituito da centri di preghiera abusivi che nascono in garage e cantine dove non si può verificare la qualità e i contenuti delle prediche degli Imam locali con conseguenze sia di ordine e sicurezza (terrorismo) sia perché è d’uso nelle “sale di preghiere” di quartiere esporre il nome e cognome di chi fa volontaria donazione mensile o settimanale quale benemerito contributo alle spese della gestione. La pubblicazione dei nomi lascia dei dubbi sulla reale volontarietà.
Può illustrarmi come la donna, può pregare nella moschea?
Le donne sono accolte nel matroneo, alcune sono velate altre no. Non è obbligatorio nel nostro luogo di culto. Proprio per l’attenzione che abbiamo verso la figura femminile si rende necessario che le moschee abusive siano controllate meglio di come si faccia attualmente. Quest’anno, per la prima volta nella storia, le donne si recheranno in pellegrinaggio in Arabia Saudita senza la necessità di una tutela maschile. È una delle svolte storiche volute dal principe Mohamed Bin Salman. Quest’anno, addirittura, la conferenza stampa tenuta dai leader della sicurezza che si tiene ogni anno prima della stagione dei pellegrinaggi alla Mecca è stata tenuta prima volta nella storia del paese da una donna soldato. Questo sulla scia di Weam Al Dakheel che in Arabia Saudita nel 2018 è stata la prima donna a condurre un telegiornale. Un po’ come avvenuto in Egitto con la straordinaria riforma per le donne voluta dal presidente Abdel Fattah Elsisi, che ha inaugurato la 1° organizzazione di cooperazione islamica per proteggere e promuovere i diritti delle donne e la loro condizione, in tutti i paesi membri della organizzazione islamica.
Ci auguriamo dunque che lo Stato raggiunga un’intesa con la Coreis e con la scuola Malichita, la più tollerante dell’Islam, rappresentata dalla Gran Moschea. Questo per evitare il proliferare di Imam come Abu Imad che si lasciano andare a dichiarazioni del tipo: “Siamo favorevoli a un rapporto con la società italiana ma siamo assolutamente contrari all’integrazione.” e che ha dichiarato di essere in contatto con numerosi esponenti di Al Qaeda avallando la nomina di Imam della Moschea di via Quaranta, Mahomud Abdelkadem Es Sayed, presunto terrorista morto in Afghanistan.
Si ringrazia per il contributo Antonio De Nicola, ” Comunità islamica in Italia: percorsi verso un’integrazione “.
di Chiara Cavalieri, studiosa di Islam e geopolitica