Settembre 20, 2024

La cucina romana è una delle tradizioni culinarie più ricche di sapori e di storia. Le sue antiche ricette, custodite con cura e tramandate di generazione in generazione, sono la risultante dell’incontro fra diverse culture e abitudini alimentari. Molti piatti hanno mantenuto intatte le caratteristiche originarie senza subire cambiamenti nel corso dei secoli; altri, invece, sono stati elaborati e perfezionati con l’aggiunta di spezie o altri ingredienti, in modo da esaltarne al massimo il gusto.
Alcuni alimenti della cucina romanesca venivano consumati già dagli antichi romani: si pensi alle fave e al pecorino che costituivano il pasto dei legionari romani, o alle acciughe salate che venivano mescolate a diverse erbe aromatiche per ottenere salse e condimenti. La tradizione gastronomica romana è essenzialmente “povera”: si tratta, infatti, di una cucina casereccia che utilizza ingredienti provenienti dal mondo agreste e soprattutto dall’orto e dal pascolo. Formaggi, frattaglie, spezie, ortaggi, legumi e grassi come lo strutto e il guanciale sono solo alcuni degli alimenti più tipici in uso ancora oggi.
Tre, in particolare, sono i filoni gastronomici che hanno contribuito in modo significativo a plasmare nel tempo l’arte culinaria romana: le tradizioni del Testaccio, la cultura romano-giudaica del Ghetto e la cucina dei Castelli. Al quartiere del Testaccio si deve l’apporto delle frattaglie che costituiscono l’ingrediente principale di ricette dal sapore unico come la trippa, i rigatoni con la pajata e la coda alla vaccinara. Il contesto che ha visto nascere questi piatti è quello dell’antico mattatoio, dove i lavoranti (i cosiddetti “vaccinari”) erano soliti ricevere gli scarti della macellazione come “extra” sulla paga. La coda, la lingua, gli intestini, la trippa, i rognoni e le altre interiora del bovino venivano poi cucinati con l’aggiunta di spezie e aromi per realizzare pietanze gustose e al tempo stesso molto nutrienti, particolarmente adatte a chi doveva affrontare lunghe giornate di duro lavoro.
La cultura gastronomica del Ghetto si è sviluppata a Roma a partire dal X secolo, con l’arrivo di gruppi di famiglie ebree attive nel commercio e nell’artigianato. Grazie a questa cultura, la cucina romana si è arricchita di ingredienti, profumi e sapori provenienti dall’Oriente che hanno dato vita alle ricette del filone romano-giudaico come i carciofi alla giudia, i fiori di zucchina farciti con mozzarella e alici, gli aliciotti con l’indivia al forno, il brodo di pesce e i dolci di frutta secca, miele e canditi.
Il terzo filone gastronomico è tipico delle zone periferiche, i cosiddetti “Castelli Romani”: da qui provengono i prodotti dell’agricoltura e della pastorizia quali l’abbacchio, le fave, i piselli, la cicoria, le puntarelle, le lattughe, i peperoni e vari tipi di formaggi. Grazie all’influenza della cucina dei Castelli sono nate ricette ancora oggi molto apprezzate come l’abbacchio alla scottadito, le puntarelle con le alici, la peperonata, i rigatoni cacio e pepe, le fave col pecorino, la pasta e ceci e i broccoli in padella.
A Roma, queste ricette sono ancora in uso, sia nella cucina familiare che nel menù delle trattorie “storiche” dei quartieri più antichi. Nelle trattorie tipiche di Trastevere e del Ghetto Ebraico, in particolare, oggi è possibile trovare tutti i piatti più celebri e gustosi dell’autentica tradizione romanesca: i bucatini all’amatriciana, la pasta alla carbonara, l’abbacchio, i saltimbocca alla romana, la coda alla vaccinara, la trippa, i rigatoni con la pajata, le puntarelle e i broccoli alla romana, solo per citarne alcuni. Questi locali uniscono ad un’atmosfera unica e senza tempo tutta la qualità, la dedizione e la cura artigianale che hanno sempre contraddistinto la vera cucina tipica romana.

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