Settembre 14, 2024

Ogni atleta aveva un ruolo già stabilito, con armamento predisposto e predisposta scenografia, poiché lo scopo era quello di divertire.

Ai romani piaceva l’accostamento degli opposti: lo smilzo contro il robusto, il leggero contro il pesante, ma in modo il più equilibrato possibile, in modo che l’uno non fosse avvantaggiato rispetto all’altro e così, le specialità di combattimento venivano studiate e perfezionate e poi esibite nell’arena.

Ed ecco che ad un Mirmillone dal fisico atletico e pesantemente armato, veniva opposto un Reziario agile, snello, ma armato del solo tridente; se il primo voleva avere ragione del secondo, doveva conservare ad ogni costo le proprie energie, dosare la fatica e trattenere il poco ossigeno che gli arrivava dalla celata del grande elmo calato sul capo.

La tecnica vincente di combattimento del Reziario, invece, era quella di tener lontano il più possibile l’avversario con il tridente, per poi cercare di catturarlo, lanciandogli contro la rete o scagliargli contro lo stesso tridente.

Oltre al Mirmillone, al Reziario veniva spesso contrapposto un’altra figura: il Secutor.

Forte, imponente, pesantemente armato, difficile da contrastare, al Reziario non restava che agire d’astuzia, cosicché, egli finiva spesso per adottare una tattica assai scenografica che, all’inizio, il pubblico non apprezzava affatto, ma che, in seguito, divenne tra le sue favorite.

Di che cosa si trattava?

Se al Reziario, senza scudo né spada, occorrevano spazio e distanza per lanciare tridente e rete, al suo avversario occorreva, invece, accorciare le distanze e pressarlo da vicino. Al Reziario restava, dunque, una sola via di scampo: la fuga. E quello faceva. Fuggiva.

Soprattutto all’inizio, questa tattica, non era molto apprezzata; più apprezzato lo scontro diretto. In seguito, però, quell’atto di difesa diventò azione scenografica: la fuga del reziario inseguito dal Secutore, tra urla d’entusiasmo della folla, ricordavano il più famoso duello della storia romana, quello tra i Curiazi e gli Orazi. La salvezza del Secutor, diventato Inseguitore, stava nella capacità di inseguimento, oltre che nella potenza fisica, necessaria a sopportare il peso delle armi e nello schivare il tridente dell’avversario in corsa. A patto che questi riuscisse a distanziarlo.

Contrapposte erano anche le potenzialità del Provocator contro quelle del Mirmillone. Durante la lotta, quest’ultimo si nascondeva dietro l’enorme scudo, esponendo solo testa e gambe, a loro volta protette e corazzate, per poi uscire allo scoperto ed attaccare l’avversario che aveva di fronte; scostava lo scudo solo per brevi attacchi con il gladio. Da questo punto di vista, il Mirmillone era per l’avversario una fortezza inespugnabile; l’unica possibilità, per l’avversario, era trovare il modo di attaccarlo lateralmente, dove era più vulnerabile.

Chi erano tutti quei disgraziati che, a decine e centinaia, morivano in giochi sanguinosi e sadici, per

il divertimento di una folla annoiata, assetata di sangue ed eccitata da piacere omicida? Per questo c’erano i condannati a morte, i prigionieri di guerra e gli schiavi.

Non tutti i combattimenti, infatti, seguivano regole fisse ed equilibrate. Accanto agli scontri alla pari, vi erano i giochi, per così dire, “ad eliminazione diretta”. Si trattava dei Munera sine missione, che prevedevano la morte per tutti gli sconfitti, senza alcuna distinzione. Una vera strage.

Uno spettacolo simile, organizzato dal nonno di Nerone, aveva disgustato a tal punto Augusto, che, con un Editto, decise di sopprimere tale barbaria; Claudio e Caligola, però, noti per la loro crudeltà, pensarono bene di ripristinarli.

Alla ricerca di emozioni più forti, sempre più Munera non ordinari, continuavano a comparire e ad appagare quell’inconfessato istinto assassino che spingeva tutti verso le arene; giochi stupidi e crudeli, ferocia gratuita. Come lo spettacolo di mezzogiorno, che doveva essere solo un intermezzo tra lo spettacolo del mattino e quello della sera e che invece, come ebbe a scrivere Seneca :

Non più finti combattimenti, ma veri e propri omicidi.”

Si trattava dell’Oplomachia, una lotta che non prevedeva vincitori, ma solo vinti. Si mettevano di fronte due uomini, l’uno era armato e l’altro inerme e destinato a soccombere. Appena questo avveniva, subentrava un altro lottatore che disarmava il vincitore e ne prendeva il posto, per soccombere a sua volta nel combattimento successivo e… sempre con le parole di Seneca:

Lo spettacolo è sospeso. Intanto non si stia senza far niente, si sgozzi qualcuno.”

E ancora. Per riempire i tempi morti fra i vari spettacoli, si allestivano rievocazioni storiche e mitologiche, i cui attori erano destinati a morte certa. Morte spettacolare e crudele, tanto più apprezzata, quanto più fedele al mito. Ed ecco un disgraziato mascherato da Atteone, inseguito e sbranato dalle belve, o un infelice condannato ad impersonare Prometeo, legato ad un tronco e ridotto a pezzi da orsi. Ed erano proprio questi gli spettacoli che riscuotevano maggior successo, ebbe a scrivere ancora Seneca:

La morte è la tragica conclusione a cui i combattenti vanno incontro. Ma si dirà: costui è un brigante, un

assassino. Perché non è disposto a morire volentieri?”

Ladri, assassini, briganti… una garanzia di ordine e sicurezza, ma anche di monito per il cittadino, questo genere di spettacolo cruente e spietato.

Assai diverso, invece, la reazione nei confronti dell’atleta vincitore. L’eroe, quello che scampava alla morte, che si copriva di ferite e di gloria… di fama. Proprio come gli atleti di oggigiorno: strapagati e vezzeggiati. Vezzeggiati proprio da tutti, non solo da donne, anche da uomini e soprattutto da fanciulle: “suspiria puellarum” li chiamavano, per le fiamme amorose che accendevano in loro. E non solo nelle fanciulle. Anche tante matrone, che stazionavano davanti ai Ludus o assistevano (dietro lauto compenso) agli allenamenti.

tratto da “ANTICA ROMA –  Costumi e tradizioni”

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