Dicembre 20, 2024

Gli esseri umani sono creature colme di contraddizioni. Dotati della facoltà del discernimento, percepiscono la propria presunta superiorità intellettiva. Eppure, questa capacità del cogliere l’essenzialità che è all’interno delle cose e dei fatti, disvela, agli individui, l’intrinseca fragilità che li governa.

L’umana gente vive nella ricerca di un significato alla propria esistenza ed è proprio questa ineliminabile necessità di attribuirsi un senso che la fragilizza.
C’è chi ricerca il proprio autentico spessore nell’Amore, chi nel lavoro, chi nel rendersi testimone, chi, ancora, nell’aiutare il prossimo. Ciascuno anela a trovare la propria caratura rendendosi partecipe di uno qualunque dei valori cardine della nostra società. La verità è che, in ciascuno di questi atti, continuiamo a deputare il nostro senso ad entità esterne a noi stessi, rendendoci sempre meno consapevoli del male che ci infliggiamo.

In verità, il vizio del torturarsi cercando la più autentica Sostanza all’infuori di noi è malcostume tipico del mondo occidentale, nonché il più radicato retaggio della cristianità. Jean Paul Sartre, il padre dell’esistenzialismo, denunciò il creazionismo come propulsore del “primato della conoscenza su quello della coscienza”. Con ciò volendo far riflettere su di una circostanza particolare: l’essere umano è elemento attivo della creazione e non una semplice affermazione di un più complesso affermante. L’uomo, con la propria coscienza, dona alle apparenze (al mondo esteriore) il loro compimento. D’abitudine attribuiamo tale facoltà solo al Creatore, condannandoci ad essere parte di un sistema preordinato, per noi privo di un significato percepibile perché effetto di calcoli che ci prescindono.

Immaginarci come portatori e fautori di significato, ci proietta nei ranghi dell’Assoluto. Tuttavia, questo non ci libera dalla umana sofferenza. Conoscerci come ordinatori delle apparenze può risolvere il dramma del dover ricercare le nostre verità in qualcosa, altro da noi. Parimenti, ci carica di una enorme responsabilità facendoci, ancora una volta, sentire vulnerabili. La più comune sintesi agli studi sartriani recita: “l’uomo è radicalmente libero, per questo infelice”. Tale sintesi troverebbe una migliore formulazione se enunciata come segue: “l’umana gente percepisce la propria natura di portatrice di significato, per questo è infelice”.

Tutto questo è quel che “Soli idoli”, il nuovo brano di Orlando Ferrari, vuole raccogliere ed esternare, azzardando un nuovo modo di cantare l’Estate: la leggerezza nella melodia, unita alla ricerca letteraria e filosofica nel testo.

Orlando Ferrari è un artista emergente di Brescia. Si affaccia alla scena musicale con una particolare attenzione alle connessioni tra musica e letteratura ed il desiderio di unire piano alto e piano basso della narrazione, facendo di sé un simpatico propulsore culturale. Dopo “Slava Ucraina, Herojam Slava!”, un brano a sostegno della causa ucraina, pubblica “Perdono”, un singolo autobiografico contro la violenza domestica e la discriminazione. Presenta, ora, al pubblico, “Soli idoli”, un pezzo estivo per ballare e per riflettere sulla nostra condizione esistenziale.

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