Qualunque cittadino americano abbia consumato dei biscotti, una bibita o dei piatti pronti sarà probabilmente entrato a contatto con organismi geneticamente modificati. Oltreoceano infatti sia la coltivazione di OGM (“GMO” in inglese) che il loro utilizzo per l’alimentazione umana sono perfettamente legali da molti anni.
In tutto questo tempo i cittadini hanno accettato senza troppe proteste la presenza di tali cibi – ritenuti sicuri al 100% dal governo USA e, ovviamente, dalle industrie alimentari – ma negli ultimi anni si sta assistendo a una sempre maggiore presa di coscienza degli acquirenti americani intenzionati a sapere esattamente cosa finisce nel loro piatto.
Sempre più aziende stanno ricorrendo a un’etichettatura volontaria in cui specificano che gli ingredienti usati per la produzione di cibi e bevande sono OGM-free, e alcuni stati americani, come ad esempio il Vermont, stanno lavorando all’adozione di regolamenti riguardanti l’obbligo di indicare in etichetta la presenza di ingredienti geneticamente modificati.
In Italia è fatto espresso divieto di utilizzare OGM e derivati negli alimenti destinati ai consumatori, anche se alcune etichette di alimenti sottolineano comunque di essere OGM-free. E anche la coltivazione a fini commerciali di varietà di mais e altre specie ottenute in laboratorio è proibita.
Il vero problema, semmai, è il fatto che molti mangimi per animali importati dall’estero, fra tutti la soia e il mais, sono frutto di manipolazioni genetiche ed è consentito utilizzarli per l’alimentazione del bestiame.